venerdì 30 novembre 2007


DIGITAL DIVIDE

Per Digital Divide si intende alla lettera divario, divisione digitale: esso viene inteso come mancanza di accesso e di fruizione alle nuove tecnologie di comunicazione e informatiche. Da qualche anno ormai si parla di questo argomento, che con il passare del tempo riguarda aspetti sempre diversi delle nuove tecnologie e non solo: molti sono gli aspetti anche sociali della questione.

Storicamente, i primi che parlarono di digital divide furono Al Gore e Bill Clinton, quando, all'inizio degli anni novanta, intrapresero una politica di forte sviluppo e potenziamento dell'infrastruttura di internet negli Stati Uniti.
Il concetto di "divario digitale" era riferito alla difficoltà di accesso a internet in determinate zone del paese (difficoltà intesa anche sotto l'aspetto dei costi).

In quegli anni internet esplode come fenomeno di massa e diventa sempre di più un mezzo di lavoro e di business: non essere connessi alla rete (o non avere gli strumenti cognitivi per farlo), significa quindi essere relegati ai margini della società. Nascono così vari progetti per colmare il divario digitale americano nell'amministrazione Clinton.

La tecnologia non dovrebbe servire a creare dei bisogni indotti in questi paesi (computer sempre più potenti, connettività ultraveloce, nuove releasedi programmi dei quali si sfrutta l'1% delle capacità, etc.), ma a farli sentire partecipi e in grado di creare uno sviluppo tecnico più adeguato alle loro reali esigenze. Qui iniziamo a toccare un altro punto importante della questione: le tecnologie ICT rappresentano un "paradigma tecnologico", ovvero un insieme di regole e metodi che determinano un modo di produzione e quindi un modello sociale.

Mai come in questo momento le tecnologie non sono neutre; dal tipo di scelte che vengono fatte si possono decidere i vari tipi di futuri che ci aspettano: sicurezza dei dati, codici dei programmi, sistemi operativi, protocolli applicativi etc etc.
La tecnologia non dovrebbe servire a creare dei bisogni indotti in questi paesi (computer sempre più potenti, connettività ultraveloce, nuove releasedi programmi dei quali si sfrutta l'1% delle capacità, etc.), ma a farli sentire partecipi e in grado di creare uno sviluppo tecnico più adeguato alle loro reali esigenze.
Qui iniziamo a toccare un altro punto importante della questione: le tecnologie ICT rappresentano un "paradigma tecnologico", ovvero un insieme di regole e metodi che determinano un modo di produzione e quindi un modello sociale.

COSA FARE?

L'idea è quella di formare una community in grado di discutere problemi generali relativi a queste problematiche, ma anche di dare indicazioni tecniche e lanciare una serie di progetti specifici su queste tematiche. Sul Pluto è stata aperta una mailing list (alla quale chi vuole iscriversi è il benvenuto), pluto-divide, che cercherà di fare da collettore di tutto ciò. Parlare di tipi di applicazioni, di progetti di alfabetizzazione informatica, prendere contatti con associazioni, ONG, centri di eccellenza nei paesi in via di sviluppo per lavorare insieme su progetti che vedano nel software libero un mezzo di diffusione di tecnologie sostenibili potrebbe essere un inizio. La connettività, ma non solo: l'informatica, le applicazioni, la lingua e tanti altri aspetti legati allo sviluppo tecnologico.

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